Riflessioni preliminari al lavoro sulla perversione
Gaetano Romagnuolo
Aderendo a una sollecitazione della comunità analitica internazionale di cui facciamo parte e a partire da un rinnovamento del nostro gruppo, riunitosi sotto la nominazione di laboratorio, abbiamo deciso quest’anno di abbordare il difficile tema della perversione.
Abbiamo dunque accolto la proposta di un lavoro comune. Un lavoro comune , su di un unico tema, aldilà delle questioni che nello specifico lo stesso tema pone, ci è sembrato un modo propizio per alimentare gli scambi con altri gruppi e ravvivare così, nel nostro piccolo, il senso di un’appartenenza a una comunità analitica estesa. Un’appartenenza che non vuole di certo essere meramente figurativa, ma che si riconosce e si autorizza attraverso il lavoro, lavoro sui testi e sulla clinica, quindi attraverso un contributo attivo.
Centrarsi attraverso il lavoro (di qui la nominazione di laboratorio), rappresenta per noi nell’attualità del momento, l’unica maniera affinché si possa favorire un ritorno al senso più proprio di una comunità analitica, che si dovrebbe, a nostro avviso, sostenere su di un transfert di lavoro e non su di un sapere già dato e canonizzato.
Ecco che il tema della perversione, con le innumerevoli contraddizioni e questioni che esso porta nel suo specifico, ci è sembrato il più congeniale da abbordare.
Da questa occasione propizia, che è la complessità, la contraddizione, la difficile collocazione, di ciò che viene indicato come perversione, cerchiamo dunque di pervertire, sovvertire, una certa maniera di procedere (appartenuta anche a noi) che è comune a molti gruppi analitici, ossia di ridursi a dispensari di sapere, in una degenerazione che li allontana dallo spirito dei loro padri fondatori.
Accanto a questa prima motivazione di ordine più generale, la scelta del tema della perversione ne riconosce di ulteriori.
Una seconda motivazione che ci ha spinti alla scelta di questo tema, riguarda in maniera più ampia l’interrogazione che questa tematica, presa in un’accezione contemporanea, ci propone rispetto al senso che dobbiamo attribuire alla nostra funzione di analisti e al posto che vogliamo assumere nella società e nel periodo storico in cui siamo inseriti. Oggigiorno il tema della perversione, di una certa perversione, è divenuto assai pervasivo nei dibattiti che sovente noi analisti intratteniamo tra di di noi. Si dice che questa società sia divenuta perversa, che sia sempre più perversa. Ma cosa si vuole affermare con questo? Cosa vuol dire che nella nostra società si è fatta strada una perversione che alcuni definiscono ordinaria?Cosa la psicanalisi può dire rispetto a ciò e in seno a questo supposto nuovo assetto sociale? Non si tratta qui di prendere parte a un mero discorso sociologico, ma si tratta di definire con precisione i termini della questione. Si può parlare di perversione ordinaria? E in che termini? E questa perversione ordinaria , implica una modificazione della nostra pratica? Il discorso del capitalista prevede ormai la nostra società e ha sicuramente modificato l’assetto dei legami sociali, ma ciò che genera ha una pervasività tale da implicare una nuova lettura della clinica o della soggettività? Sono domande queste a cui non possiamo sottrarci e che dobbiamo porci per orientare la nostra pratica e soprattutto per comprendere quale debba essere il ruolo dello psicanalista nella società contemporanea, come cioè egli possa contribuirvi con la sua presenza.
Con questo si vuole dire che sottolineare l’esistenza di un nuovo modo di fare legame, mette in questione una certa maniera di esercitare una pratica che fin qui si era orientata secondo direttrici solide. Dire che ci troviamo in una società sempre più perversa, non vuole forse anche dire che si riconosce una certa difficoltà di orientarsi su basi che fino ad ora avevano funzionato e che ora sembrano non essere così efficaci? E non vuole forse anche insinuare un implicito pericolo di inefficacia del discorso analitico e di qui un pericolo per la sua stessa sopravvivenza? Si sentono sempre più spesso discorsi che pongono l’accento sul supposto anacronismo della pratica psiconalitica e cosa ancor più grave, spesso questi discorsi vengono promossi proprio da analisti. Tuttavia una cosa è affermare che ci troviamo oggi di fronte a nuove forme di soggettività o che l’accesso alla soggettività è reso più difficoltoso dal discorso sociale vigente e una cosa è paventare l’estinzione di una pratica. Parlare di estinzione della psicoanalisi non segna forse un’implicita remissione, una rinuncia? Una rinuncia cui è sotteso un implicito anelito di restaurazione? Chi teme l’estinzione della psicoanalisi è a nostro avviso, chi forse ha rinunciato a metterla in questione e ad alimentare il suo discorso rinnovandolo, a prendere posto come analista nel tempo in cui vive, ad assumersi la responsabilità del suo esserci come tale. A questo proposito facciamo nostro l’ammonimento di Lacan secondo cui un analista deve sempre essere disposto a confrontarsi con la soggettività del suo tempo. Chi parla di estinzione della psicoanalisi al contrario, è probabilmente chi crede che essere analisti vuol dire appartenere a questa o a quell’altra scuola o associazione e che esserlo sia unicamente determinato dal fatto stesso della sua associatura. Una tale concezione delle cose, è a nostro avviso segno di un sintomo individuale che si estrinseca nel proprio riconoscimento attraverso un’identificazione (all’analista in questo caso) e segno di un sintomo dell’istituzione stessa, che riconosce il suo fondamento nella costituzione di un’ortodossia. Ha ben donde parlare di estinzione della psicoanalisi, se questo vuol dire essere analisti, cioè farsi portavoce di un discorso introflesso e diretto al sostenimento di una scienza che mira unicamente alla sua autoconservazione nei termini di una inflessibilità delle sue leggi. Essere analisti per noi, che ci diciamo lacaniani, è al contrario farsi sostenitori di una costante interrogazione, mossa dal nostro desiderio animato dal buco reale che in noi riconosciamo e accettiamo. Quindi la questione della perversione, di una perversione detta ordinaria, con le questioni che porta rispetto alla modifica reale o apparente di una soggettività a cui ci rivolgiamo, ci interroga da vicino come analisti e ci richiama a interrogarci sulla nostra pratica e in ciò è quanto mai la benvenuta per il suo effetto sovversivo rispetto all’assetto saporoso di una certa ortodossia psicoanalitica.
Al di là di questi aspetti, abbiamo scelto di affrontare il tema della perversione di certo anche per una sua intrinseca complessità e difficoltà di approccio, come clinici.
Non è un caso se Freud non ha affrontato questa tematica se non in un solo caso di feticismo e in una maniera abbastanza usuale. Lo stesso dicasi per Lacan che si è sempre rifiutato di affrontare il tema dedicandogli un seminario e limitandosi a produrre degli scritti a partire da casi letterari, seppure densi di interesse.
Come Melman fa notare in una sua comunicazione, ognuno di noi rispetto alla perversione prova una fascinazione accompagnata da una ritrosia, sentimenti questi che testimonierebbero di una certa rimozione. Come questo analista mostra in questa comunicazione, si tratterebbe di qualcosa di intimo a ognuno di noi, che è il nostro desiderio che ci appare sotto una forma perversa. Il nostro desiderio infatti non può fare a meno di dipendere da un oggetto che lo supporta. Se si intende per perversione questo, cioè una dipendenza da un oggetto, si può parlare di perversione come di qualcosa di comune a tutti? Come di qualcosa che da la misura del desiderio umano organizzato nel fantasma, che può dirsi la perversione, in un senso preso al singolare e comune? Tutti noi invariabilmente siamo sospesi attraverso il nostro desiderio a un oggetto, che sia esso una donna, un uomo, una scarpa, una sostanza o qualsiasi altra cosa, è in questo senso che si può parlare della perversione come di qualcosa che riguarda tutti? Ritornando alla questione precedente di una perversione generalizzata e ordinaria, è indubbio che la società contemporanea ,comandata da un discorso capitalista, non fa altro che promuovere questo tipo di oggetti che stuzzicano la libido di un soggetto a partire dalla strada maestra tracciata dai meccanismi si strutturazione del desiderio in relazione all’incombenza di una minaccia di castrazione. E’ solo di questo che si tratta quando si parla di perversione? Cioè del fatto che la società contemporanea non fa altro che premere sul grilletto della pistola carica di una certa organizzazione di base? O si può parlare anche di altro?
Se ci fermiamo a questo, alla perversione come meccanismo strutturale comune a tutti, riteniamo necessariamente esclusa la dimensione della perversione come struttura clinica autonoma. Ma se la riconosciamo dobbiamo anche chiederci cosa la rende tale. In cosa si distingue una perversione? Cosa ne fa una struttura autonoma rispetto alle altre?
E’ nella scelta oggettuale che possiamo demarcare una linea di confine? Ci sono oggetti più o meno ammissibili dunque? Come sappiamo Freud ha reso inefficace questa ipotesi proprio sottolineando la natura essenzialmente perversa del desiderio umano e mostrandoci come l’oggetto sia interscambiabile nonché inerte nel servirla. Del resto la considerazione che non sia la scelta oggettuale a fare di una perversione una perversione è una considerazione assai banale se si passa solo superficialmente in rassegna quanto questa sia dettata dai tempi, nel senso che ha subito delle modificazioni nella storia. Tuttavia non lo è per lo meno per quanto riguarda un’ indubbia influenza su altre pratiche come ad esempio la psichiatria che si fanno garanti di una normalizzazione secondo un assetto storicamente determinato dei costumi, che ha portato anche a tragiche conseguenze nei momenti di maggiore pervasività di questo discorso. Di qui l’importanza di soffermarsi su questi aspetti, nel senso che ci fanno riflettere in primo luogo sull’importanza della sovversione freudiana rispetto alla sessualità e sulla linea di demarcazione che ciò ha segnato tra la psicoanalisi e altre pratiche e sul problema di una possibile distinzione tra la perversione come meccanismo basilare della sessualità e la perversione in quanto struttura clinica.
E’ invero comune a chiunque si sia cimentato un pò nella clinica, di imbattersi in soggetti che in un primo momento ci apparivano come perversi ma che poi si rivelavano dei nevrotici e viceversa. Cosa rende conto di questa, almeno intuitivamente supposta ulteriortà, ossia che ci troviamo di fronte a soggetti differenti? Come abbiamo detto non si tratta della scelta oggettuale, ma forse come Freud ci indica e come Lacan nel rileggere Freud ci sottolinea, l’oggetto non è esente da implicazioni. Nella nostro avanzamento nel definire quelli che possono essere gli elementi di struttura distintivi di una perversione, dovremo quanto mai prestare attenzione a ciò che Freud dice e Lacan riprende a proposito del feticismo, che entrambi indicano come paradigmatico della perversione. Sarà necessario, nel contesto del feticismo, prendere in esame l’accento che i due autori pongono, non tanto sulla scelta oggettuale, quanto piuttosto sul valore che un oggetto qualunque viene ad assumere come occupante una certa posizione a partire da una certa logica che riconosce nel meccanismo del rinnegamento la sua origine.
Di qui sarà data una certa rilevanza all’oggetto feticcio, che viene ad assumere una posizionalità privilegiata nella strutturazione del desiderio sessuale di un soggetto. in rapporto alla castrazione . Castrazione tenuta alla lontana da un’azione rinnegante esercitata dalla presentificazione in posizione privilegiata dell’oggetto stesso o da un’insondabile scelta soggettiva. In questo punto di snodo, che possiamo definire su due versanti, quello dell’occasione posizionale in una struttura pronta all’accoglienza o da una scelta soggettiva caratterizzata dall’imponderabilità, possiamo forse individuare una prima differenza, tra ciò che alcuni autori indicano come fantasma perverso e la perversione tout-court. Sarà questo un altro punto che ci proponiamo di affrontare. Punto senz’altro essenziale da definire per orientare la nostra pratica. Sarà nostra cura perciò addentrarci nella definizione di quegli elementi differenziali che fanno di una perversione una vera perversione. Di una perversione cioè che si definisce in termini strutturali. A margine e in aggiunta a queste questioni, non è meno importante per l’individuazione di elementi differenziali, che hanno sicuramente un’influenza decisiva sulla pratica, doversi chiedere se esista un discorso perverso. In breve il discorso perverso consiste nella sua pornografia? O si distingue da essa per una sua intrinseca differenza? A cosa mira, da cosa è mosso? Si può riconoscere nel suo aspetto più propriamente formale, il senso stesso della mira perversa? Un’analisi attenta della scrittura sadiana, nel commento che Lacan ne fa in relazione all’etica kantiana ci può essere di sicuro di aiuto nella nostra ricerca.
Lungo la strada di indagine, ci dobbiamo inoltre chiedere se ci troviamo di fronte a una struttura che si declina al plurale o al singolare. Se cioè ci troviamo al cospetto di una pluralità di discorsi che fanno le perversioni o se le diverse forme cliniche riconoscibili, non siano altro che dei sembianti che servono lo stesso discorso.
Ci toccherà infine, se ne avremo la forza e il coraggio, indagare gli aspetti transferali di un incontro con un perverso, di un simile incontro. Si tratta nello specifico di un incontro mai banale, caratterizzato da un disgusto misto a una fascinazione, per l’effetto di una solleticatura della nostra intimità. In cosa ci mette alla prova un perverso? Cosa vuole da noi? Come ci utilizza? Per rispondere a queste domande ci dobbiamo prendere la briga di chiederci prima come mai un perverso accede così di rado a una cura e se quando vi accede in quale momento avvenga. L’analisi della sua domanda, unita a una valutazione preliminare, ci permetterà di comprendere se siamo o meno disposti a un tale impegno e soprattutto ci indurrà a chiederci cosa ci proponiamo di fare con un tale soggetto.
Cosa ci proponiamo di fare con un perverso?
Se per uno psichiatra questa domanda trova una risposta unicamente nella contingenza della norma-lità storica in cui è inserito e nel ruolo che giuridicamente tale norma-lità gli attribuisce come ordinatore designato, lo stesso non vale per lo psicanalista, in quanto per lui non si tratta qui di contenere attraverso un ordinamento esogeno o attraverso una “nevrotizzazione”. L’incontro con un perverso per un analista sarà invariabilmente una messa alla prova, una forzatura al limite della tenuta della sua etica. Ecco un’ultima sollecitazione di lavoro davvero essenziale.
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